E’ iniziata la campagna acquisti

2 agosto 2010 alle 09:47 | Pubblicato su Politica | 1 commento

Finita la campagna acquisti calcistica, ne inizia un’altra politica. Importanti siti nazionali riportano la notizia che alcuni dei 33 finiani epurati dal PDL, siano stati avvicinati per essere persuasi a ritornare sui loro passi.

C’è la malcelata volontà di disgregare sul nascere,  la neonata formazione politica di Gianfranco Fini, FUTURO E LIBERTA’. Frasi come “Stiamo pensando ad un nuovo ruolo per te” oppure “Torna di qua, Fini vi ha fregato” ma anche minacciose, da Santa inquisizione come  “Verrai deferito ai probiviri”, sono all’ordine del giorno.

Molti plaudono al nuovo corso politico di Gianfranco Fini e i suoi. L’essere stato illuminato sulla via di Damasco, dopo tanti anni, con la conseguenza di non accettare più incondizionatamente la politica di  un esecutivo dove l’impunità la faceva da padrona, fanno, dell’ex segretario di AN, il principale candidato alla creazione, finalmente in Italia, di quella destra democratica e riformista che tanto auspicava Indro Montanelli.

E’ vero, si accusa Fini di essersi accorto troppo tardi dell’autarchia nella quale sta sprofondando l’Italia, ma non è mai troppo tardi guarire dal cancro del berlusconismo  che ormai si è radicato come una metastasi  e si diffonde in tutti gli apparati della società civile.

Il tempo ci dirà se, a torto o a ragione, Fini avrà, oltre all’indubbia caratura politica, anche la capacità di attirare a se quel consenso popolare di coloro, che, pur turandosi il naso e non potendo votare per il centro sinistra, hanno sempre appoggiato  il PDL.

Infatti uno degli obiettivi principali di  Fini & company, se saprà muoversi bene nella scacchiera politica del centro destra,  è la recondita speranza  di catalizzare a favore di FUTURO E LIBERTA’ il consenso degli “scontenti”.

Sempre che l’etica e la ragione assurgano ancora a una condizione imprescindibile per chi fa politica in modo serio e onesto, con l’auspicio, per chi non ha contratto i virus del berlusconismo,  che questa campagna acquisti messa in piedi dal PDL possa rivelarsi un boomerang micidiale per il Cavaliere.

Il giustizialismo di Antonio Di Pietro si ferma davanti a De Luca

9 febbraio 2010 alle 14:29 | Pubblicato su Politica | 2 commenti

Nulla di strano per l’IDV nell’appoggiare in Campania il candidato del centro sinistra De Luca. Ma tutto ciò è in perfetta controtendenza con la politica giustizialista dell’Italia dei valori, il cui leader, l’ex Pm di mani pulite Antonio di Pietro, ne incarna il modus operandi.  De Luca è accusato di reati gravi (Truffa e concussione), ma anche di cose apparentemente meno gravi come ad esempio quella di essere il più assenteista alla Camera, secondo quanto rilevato dallo stesso gruppo del centro sinistra. E il settimanale  «L’Espresso» non ha mancato di sottolineare come il sindaco «decisionista, efficiente, per sua stessa ammissione un po’ caudillo» Vincenzo De Luca a Montecitorio non lo si vede mai.  Tant’è che anche Marco Travaglio, sul fatto quotidiano del 7 febbraio, circa l’appoggio al sindaco di Salerno, ha avuto modo di giudicare questa strategia politica dell’IDV, come strana e non in linea con il codice deontologico del movimento, per il quale Di Pietro si è sempre battuto.  La voce fuori dal coro è del  l’ex Giudice De Magistris, che ha chiosato su De Luca “…racconta favole…..aggiungendo dopo l’intervento del candidato presidente “ E che hanno fatto, il processo breve? I processi si fanno in tribunale. Su De Luca non cambio idea, non lo voto».” Quindi molti mal di pancia nel partito del Tonino nazionale. Il rischio di un movimento come l’Italia dei valori, considerato il partito degli “illibati”, è che si “contamini” con la politica dell’opportunismo elettorale, per non rischiare di perdere treni, se non addirittura poltrone. Soprattutto ora che la struttura si sta allargando ed è difficile chiedere a tutti la fedina penale. Anche perché in passato, alcuni “immacolati” dipietristi, sono già incappati nella rete della giustizia; tra questi: Gaetano Vatiero: il segretario Idv di Santa Maria Capua Vetere è entrato in carcere per corruzione aggravata. Andrea Proto: reo confesso, ha incassato una condanna a un anno e nove mesi per aver raccolto la firma di un morto.  Gustavo Garifo: ammanettato a ottobre 2007 per aver lucrato sugli incassi delle multe.  Franco La Rupa: indagato dalla Procura di Paola per presunti brogli elettorali e illeciti nell’utilizzo di fondi della legge 488; indagato per concorso esterno in associazione mafiosa; mesi fa hanno nuovamente contestato l’associazione mafiosa a La Rupa nell’inchiesta ‘Nepetia’ per collusioni con la ‘ndrangheta perche’ ai tempi in cui da sindaco di Amantea saliva sul palco con Di Pietro, La Rupa avrebbe favorito la cosca Gentile . Paride Martella: arrestato nell’inchiesta sulla societa’ ‘Acqualatina’ che gestisce il servizio idrico nella provincia pontina. Beccare con le mani nella marmellata alcuni esponenti di un partito non vuole per forza significare la condanna del un partito stesso. Per quanto sopra, il concetto è che, se la cesta è piena di mele ed alcune sono marce, non si buttano via tutte le mele, ma solo quelle,  marce. E questo deve valere per tutti, anche per Di Pietro che ha questo sogno utopistico e donchisciottesco, irrealizzabile ma nobile d’intenti, di appoggiare sempre persone super partes. E con De Luca dov’è andato a finire il giustizialismo di Di Pietro?

IdV e la questione Morale

21 marzo 2009 alle 09:10 | Pubblicato su Politica | 2 commenti

di-pietro1Da sempre l’IdV, il partito del Tonino nazionale ha fatto, a ragione, della questione morale un modus vivendi della politica del partito. Peccato però che su questo argomento di attualità nello scenario politico cittadino,  vi sia un percettibile accanimento mediatico (anche ieri sul nuovo quotidiano di Puglia l’intervendo diretto di San di Pietro da Trebisacce) contro persone indagate che, fino a prova contraria, sono innocenti. Già un paio d’anni addietro nella nostra Casarano furono messi alla gogna mediatica imprenditori, alcuni di loro noti benefattori,  rivelati su giornali e siti locali alla stregua di delinquenti comuni. Oggi, con le dovute proporzioni, si ripete la storia con Ivan De Masi, che, indagato per questioni inerenti la sua sfera professionale, fino a prova contraria è un uomo innocente che non ha commesso alcun reato. Perchè tutti noi dovremmo metabolizzare il fatto che essere indagati non significa essere colpevoli. La giustizia, sulla quale tutti noi riponiamo la massima fiducia, farà il suo corso. Detto ciò vorrei sottolineare che la campagna moralizzatrice di Di Pietro, sulla quale credo tutti siano d’accordo, ha assunto in questa vicenda dei connotati che rasentano il grottesco, come la decisione dell’IdV di non candidare l’imprenditore casaranese. Mettere il veto su De Masi è l’ennesima riprova che la politica locale ha paura di quest’uomo, il quale ha la sola “colpa” di voler mettere in pratica il suo dinamismo imprenditoriale a disposizione della “Res Publica”. La politica casaranese ha paura della meteorite De Masi che cadendo su Palazzo dei Domenicani, provocherebbe l’estinzione dei soliti dinosauri che da più di 15 anni si spartiscono “cacciagione e selvaggina”. Orbene penso che tutti casaranesi si siano stancati delle false promesse e della propaganda sterile. Alla politica del “dire” e dell”Apparire” si sostituisca quella del “fare”, senza tanti proclami in pompa magna che non conducono mai a nulla di concreto. Al buon Ivan De Masi non gli resta che lasciare stare i partiti e formare un movimento cittadino che sia libero da tutti gli “ismi” e dalle ideologie preconcette. Uomini di buona volontà, di destra, di sinistra, di centro, di sopra e di sotto,  disposti a lavorare tutti insieme per il bene comune, peril cambiamento, quello vero e non quello demagogico. Riportare su basi  solide il rilancio dell’economia di un paese ormai alla deriva.

Elezioni Amministrative dell’anno 1 DC (dopo Coletta)

8 gennaio 2009 alle 20:07 | Pubblicato su Politica | 4 commenti

anigif3Seguo con interesse tra le righe del sito “tuttocasarano” la querelle politica che si è venuta a creare circa il presunto conflitto di interessi che graverebbe sull’ ipotetica e non ancora confermata candidatura a Sindaco di Ivan De Masi. Associazioni neonate ed altre già esistenti, schieramenti consolidati sia di destra che di sinistra stanno vivacizzando il dibattito intorno a questa questione. Una campagna elettorale, iniziata anzitempo sul web, che fra qualche mese deciderà chi governerà la nostra città per i prossimi 5 anni. Intanto un dato di fatto, che esula dal discorso delle candidature, riguarda non tanto la sostanza quanto la forma di questa sorta di tribuna elettorale telematica . Oltretutto ci fa riflettere su come siano cambiati i tempi ed i modi di fare politica, soprattutto dopo l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione come Internet. Ricordo molti anni addietro quando da un megafono di una vecchia Fiat 600 si annunciava il “comizio”. Questa parola ormai in disuso e demodè. La lotta politica era serrata ed anche noi Casaranesi avevamo i nostri Don Camillo e Peppone che erano rappresentati da due personaggi dal peso politico, sia a livello locale che nazionale, che pochi hanno avuto in seguito. Mi riferisco all’onorevole Mario Toma del Partito Comunista e all’onorevole Luigi Memmi della Democrazia Cristiana. Lo scontro politico avveniva faccia a faccia e non a colpi di comunicati stampa. Si setacciavano tutti i quartieri della città e c’era il dialogo con la gente. Se pur discutibili, indubbiamente erano altri tempi ed altri modi di intendere la politica. All’epoca i candidati al seggio di “consigliere comunale” non avevano un ruolo passivo, come quelli di oggi. Facevano dei comizi nei quartieri popolari. Era gente che sapeva parlare, preparata politicamente, magari senza scuole. Fra questi ricordo benissimo, pur essendo all’epoca poco più che un adolescente, alcuni discorsi del compianto Giovanni Coletta, che dall’alto della sua 5ª elementare sfoderava saggezza politica e culturale, oltre che un’intelligenza straordinaria che oggi il più brillante dei laureati non si sognerebbe di raggiungere minimamente. D’altronde non è la scuola che forma l’uomo di cultura. “L’uomo più saggio che io abbia mai conosciuto non sapeva ne leggere ne scrivere”: scrisse del nonno paterno analfabeta il premio Nobel per la letteratura Josè Saramago. Purtroppo, aldilà del “credo” politico di ognuno, sarà la prima campagna elettorale cittadina, dopo tanti anni, priva di uno degli attori protagonisti. Coletta apparteneva a quella categoria di uomini che hanno fatto della coerenza politica e dell’onestà intellettuale un “modus vivendi”, nemico acerrimo dei lacchè al soldo dei quei vecchi marpioni della politica cittadina che da anni si sono stabiliti al posto di comando. Gli stessi che hanno congiurato contro di lui e lo hanno allontanato per diverso tempo dalla politica attiva. Dico questo perché, dopo personaggi di tale spessore, il mio augurio è che non si ripresenti di nuovo l’armata Brancaleone di cinque anni addietro. Il consiglio per tutti coloro che hanno voglia di mettersi in gioco in questa tornata elettorale è di farlo seriamente, con personalità, passione e spirito di abnegazione. Avere idee chiare ed innovative su cosa fare per far funzionare al meglio e per “tutti” la macchina organizzativa della “Res Pubblica”. Proprio come le antiche dottrine dei filosofi greci, è necessario sposare la filosofia che al centro di tutto c’è l’uomo, in questo caso il cittadino. Ma soprattutto auspico per il bene di tutti l’estinzione di quei “Dinosauri” che da più di un ventennio stazionano su Palazzo dei Domenicani per dare finalmente spazio ad una nuova classe dirigente fatta di giovani brillanti e dinamici con la voglia di “fare”. Quei giovani che Coletta amava ed apprezzava ai quali culturalmente e politicamente ha insegnato molte cose.


Elezioni politiche 2008: forse non tutti sapevano che………….

17 aprile 2008 alle 16:26 | Pubblicato su Politica | 1 commento

 

Pochi lo sapevano, ma la legge prevede la possibilità di rifiutarsi di votare e metterlo a verbale. Quando si va al seggio e dopo che le schede sono state vidimate, al presidente  si può dichiarare: “mi rifiuto di votare ed in base alle normative vigenti voglio che ciò venga messo a verbale!”. Non tutti sono a conoscenza del fatto che le schede rifiutate sono contate e soprattutto sono valide, contrariamente alle schede nulle o bianche o  quando si decide di astenersi dal voto. Nessun mezzo di informazione ne ha parlato prima delle elezioni. Probabilmente milioni di elettori non hanno votato perché delusi dalla politica di entrambi gli schieramenti in campo, disinformati del fatto che vi era anche un “percorso alternativo” alla protesta. Ma supponiamo per assurdo che le schede di rifiuto arrivino ad un numero spropositato, cosa mai verificatasi nelle elezioni italiane: sicuramente ci sarebbe qualche problema nell’assegnazione dei seggi vuoti. L’astensionismo passivo non incide, in percentuale, nella media dei votanti e, per quanto concerne la legislazione italiana in materia di elezioni politiche, il nostro sistema di attribuzione non prevede nessun quorum di partecipazione da raggiungere. Sicché, se per assurdo nella consultazione elettorale avessero votato solo tre persone, il risultato delle urne sarebbe stato  considerato, a tutti gli effetti, una valida espressione della volontà popolare e si sarebbe proceduto all’attribuzione dei seggi in base allo scrutinio di tre sole schede. Nelle tornate elettorali le schede bianche e nulle, fanno sì percentuale votante, ma sono ripartite, dopo la verifica che ne attesti le caratteristiche di bianche o nulle, in un unico cumulo da ridistribuire nel famoso e tanto criticato premio di maggioranza. Solo il metodo dell’astensione garantisce di essere si percentuale votante, ma consente di non far attribuire il proprio non-voto al partito di maggioranza. Come dicevo prima è, infatti, facoltà dell’elettore recarsi al seggio e una volta fatto vidimare il certificato elettorale, avvalersi del diritto di rifiutare la scheda, assicurandosi di far mettere a verbale tale opzione. E’ possibile inoltre allegare in calce al verbale stesso una breve dichiarazione in cui, facoltativamente, l’elettore esprime le motivazioni del rifiuto. Un motivo plausibile, ad esempio, può essere il seguente:”nessuno degli schieramenti il lizza mi rappresenta”. Pertanto un monito per tutti coloro che con l’astensione, la scheda bianca oppure la scheda nulla (magari resa tale volontariamente), hanno creduto di astenersi nel dare una preferenza. Senza saperlo hanno favorito la coalizione uscita vincitrice dalle urne.

La risposta di Fassino alla lettera di Occhetto

31 marzo 2007 alle 19:00 | Pubblicato su Politica | Lascia un commento

 

 

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Premessa:

Vorrei precisare che questo blog non tratterà temi politici «di parte», anche se chi mi conosce sa già quali sono le mie idee in proposito.Ho voluto pubblicare la lettera di Occhetto – tratta dal sito il cantiere.org – poichè vi sono le premesse per una riflessione su quello che sta accadendo nella vita politica italiana. Soprattutto dalla parte del centro sinistra, dove la nascita del «Partito Democratico» vedrà inevitabilmente la fuoriuscita di molte anime illustri che non si riconoscono nel nuovo soggetto politico. Non potevo sottrarmi dal pubblicare la replica di uno dei destinatari della lettera, Piero Fassino, segretario dei DS.

La risposta:

Caro Achille, rispondo volentieri alla lettera che mi hai inviato. Lo faccio certamente per un’antica amicizia mai venuta meno, nonostante le nostre storie politiche si siano allontanate. Ma lo faccio anche perché considero importante rispondere a interrogativi e dubbi che so non essere soltanto tuoi.Intanto è rilevante che tu ti riconosca nell’obiettivo di un grande Partito democratico che, fondendo culture politiche e esperienze storiche diverse, dia rappresentanza politica unitaria al riformismo.D’altra parte – come tu stesso ricordi – quest’obiettivo era iscritto in quella coraggiosa e drammatica “svolta” che, sotto la tua guida, ci portò a considerare esaurita l’esperienza del Pci e a dare vita ad un nuovo soggetto politico che, non a caso, denominammo Democratici di sinistra. E l’obiettivo di dar vita a un nuovo soggetto riformista è stata la bussola che ha ispirato la condotta del nostro partito dalla nascita del Pds ad oggi. Fu mossa da quell’ispirazione la formazione della lista dei Progressisti nel ’94, che avrebbe potuto essere più larga se il Ppi avesse colto tempestivamente la rivoluzione in atto nel sistema politico di quel tempo. Fu la stessa ispirazione unitaria che ci portò nel ’97 a dar vita ai Democratici di sinistra, aprendo il Pds all’incontro con uomini e donne provenienti dai Cristiani sociali, dalla Sinistra repubblicana, dal mondo socialista e laburista, dai Comunisti unitari. Un carattere plurale dei Ds che ancora in questi ultimi anni si è arricchita di compagni provenienti dal mondo verde e ambientalista e di esponenti della Sinistra Liberale. Fu ancora la stessa ispirazione unitaria che sollecitò la formazione nel ’95-’96 dell’Ulivo, che fin dall’inizio non pensammo solo come una alleanza elettorale, ma un soggetto politico “in divenire”. Ed è questa stessa ispirazione che, dopo la sconfitta del 2001, ci ha portato ad un nuovo progetto per l’Ulivo, come soggetto politico riformista. Dunque, è una coerenza di lungo periodo a condurci oggi al passaggio del Partito democratico. Coerenza che consente di dare risposte ai tuoi dubbi e interrogativi. Una prima questione riguarda la configurazione del Partito democratico. Tu dici «ripartiamo dal grande Ulivo del ’96». È una bella suggestione che, tuttavia, elude un aspetto dirimente: L’Ulivo del 96-2001 non riuscì mai a divenire un soggetto politico. E non, come tu pensi, perché un complotto della nomenclatura politica lo abbia ostacolato, ma per una strutturale eterogeneità di composizione, dall’Udeur di Mastella al Pdci di Diliberto passando per Verdi, Ds, Margherita, Sdi, Italia dei Valori, che si è manifestata vincolo insuperabile per dare vita ad un soggetto riformista. Naturalmente non ignoro che anche tra Ds, Margherita, socialisti, repubblicani – le forze che, insieme a Prodi, hanno fondato il nuovo Ulivo nel 2004 – ci siano differenze. Ma infinitamente minori di quante ce ne sarebbero in un Pd formato grande Ulivo. Multilateralismo come asse di una politica estera per la pace e la stabilità; integrazione europea come dimensione ineludibile in cui pensare il futuro dell’Italia; sviluppo sostenibile, fondato su sapere, conoscenza e un più alto livello di specializzazione tecnologica; welfare-state rinnovato per una nuova coesione capace di governare trasformazioni demografiche, anagrafiche e sociali; rifondazione della democrazia e dei suoi istituti per respingere le derive populistiche e plebiscitarie su cui scommette la destra: su tutti questi temi oggi tra le forze che costituiscono l’Ulivo c’è una comune visione e comuni proposte, frutto proprio del fatto che l’Ulivo è stato in questi anni il luogo in cui culture riformiste diverse si sono incontrate, si sono riconosciute, hanno costruito una comune lettura della società italiana e una comune progettualità politica sottoposta agli elettori con il simbolo dell’Ulivo. E anche sui temi etici, soltanto una strumentalità polemica può sostenere la inconciliabilità di posizioni: la lettera di 60 parlamentari cattolici dell’Ulivo – che in quanto cattolici impegnati in politica hanno rivendicato la loro autonomia e responsabilità istituzionale di fronte alle pressioni integraliste – è lì a dirci che il Partito democratico può essere una formidabile occasione per un incontro tra credenti e non credenti che promuova una nuova stagione di riflessione tra fede e politica nella costruzione di un nuovo umanesimo. La seconda questione: noi vogliamo dare vita a un partito “riformista”, non a una formazione moderata. Un partito del lavoro, che oggi nel tempo della flessibilità ha certo bisogno di essere rappresentato e tutelato ancor di più di fronte ai tanti rischi di precarietà. Un partito dello sviluppo sostenibile capace di fare i conti con le sfide che i cambiamenti climatici ci pongono. Un partito per i giovani che chiedono di veder riconosciuto merito, talento, capacità. Un partito della cittadinanza e della solidarietà. Un partito della democrazia che guidi l’Italia fuori da una transizione istituzionale ormai troppo lunga. Un partito che assuma la pace, la non violenza, i diritti, la democrazia come valori fondanti. Sono i valori che da sempre connotano l’identità della sinistra che dunque con il Pd non sparisce. La sinistra e i suoi valori vivono nel Pd e concorrono a fare del riformismo una cultura politica maggioritaria. La terza questione da te sollevata che non mi convince è che il Partito democratico sarebbe una semplice fusione burocratica tra Ds e Margherita. Non è così. Intanto è una caricatura definire i Ds come un partito stanco e scettico, trascinato suo malgrado ad una decisione non condivisa. Il Congresso dice esattamente il contrario: 7.000 Congressi di sezione; 250.000 partecipanti, cifra superiore a ogni congresso precedente; 200.000 a favore – con voto segreto – del Pd, a conferma di un consenso reale al progetto riformista. Non solo, potrei raccontare di tantissime iniziative a cui ho personalmente partecipato – da Biella a Cagliari, da Matera a Venezia, da Milano a Ancona, da Torino a Udine – con migliaia di presenti, non solo militanti, ma elettori, cittadini. Potrei raccontare di affollati incontri nelle Università di Firenze, Bologna, Torino, Roma. Potrei raccontare dell’incontro con 150 dirigenti dell’associazionismo politico – dalla Tavola della Pace all’Arci, dal Forum del terzo settore alle Cooperative sociali alle Ong internazionaliste – che tutti hanno manifestato interesse alla nascita del Pd. Certo, in questa fase – da Orvieto ad oggi – è prevalso il dibattito nei partiti: ma era inevitabile visto che soprattutto gli oppositori del Pd hanno posto come condizione per avviare il processo costituente che “prima” ci fosse una formale decisione congressuale dei partiti. Adesso – svolti i Congressi – si tratta di aprire la “seconda fase”, dando vita subito in tutta Italia ai comitati promotori del Partito democratico, aperti alla più ampia partecipazione di partiti, società, associazionismo democratico, cittadini. E questo renderà evidente che l’intesa tra Ds e Margherita è necessaria per realizzare il Pd, ma non lo esaurisce assolutamente. Vogliamo realizzare un processo più largo. Non credo, intanto, che ci si debba rassegnare ad un autoisolamento dello Sdi, il cui obiettivo di una “costituente socialista” ha più senso se in funzione della partecipazione alla costituzione del Pd. C’è una vasta area ambientalista che vuole essere partecipe del nuovo partito. Ci sono formazioni repubblicane e liberal-democratiche altrettanto interessate. E contemporaneamente ci sono nella società italiana energie culturali e sociali da rendere protagoniste: quel grande popolo delle Primarie, così come quel ricco tessuto associativo che è cresciuto proprio con l’obiettivo del Partito democratico. La fondazione di una vasta e capillare rete di comitati promotori del Pd fin dai primi giorni di maggio può perciò segnare l’avvio del percorso costituente aprendo una stagione di discussione che promuova una amplissima consultazione sulla prima bozza del Manifesto, al fine di arrivare in autunno all’assemblea costituente, a larga base democratica e partecipativa. E l’assemblea costituente potrà approvare il testo aggiornato e definitivo del Manifesto e uno Statuto. E, infine, la questione della collocazione europea e internazionale del Pd: che non può che essere costruita insieme al Pse. Se obiettivo del Pd è anche concorrere ad una più vasta unità riformista su scala europea, non si può certo prescindere dal farlo insieme a quel soggetto politico – il Pse – che oggi rappresenta oltre il 90% del campo riformista europeo. E anche su questo il dibattito non è fermo: un anno fa dalla Margherita veniva la proposta che il Pd fosse il perno di una nuova famiglia politica europea “democratica” che si aggiungesse alle famiglia socialista, popolare, verde, liberale. Nelle tesi congressuali della Margherita – e in recenti dichiarazioni di Rutelli – quella ipotesi è abbandonata per lasciare il posto a un Pd che insieme al Pse persegua una comune azione per unire il riformismo europeo. Non è un’evoluzione insignificante e vi è dunque lo spazio per una soluzione politica forte e condivisa. Mi fermo qui. Come vedi il Partito Democratico a cui, insieme a tanti, sto lavorando è una sfida alta, appassionante, ambiziosa. E per questo mi auguro che tu non voglia farci mancare la tua passione e la tua generosità.

Un abbraccio.

Piero

Lettera di Achille Occhetto a Piero Fassino e Walter Veltroni

28 marzo 2007 alle 16:46 | Pubblicato su Politica | 1 commento

 

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Caro Walter, caro Piero

Mi rivolgo in modo particolare a voi due per il tipo di collaborazione privilegiata che ci ha accompagnato durante la svolta e negli anni immediatamente successivi.Lo faccio con una certa trepidazione, perché mi sembra di avvertire, assieme ad altri, un profondo disagio prodotto dalla sensazione che la politica italiana stia rischiando di perdersi. Che in sostanza fra poche settimane, con il congresso dei Ds, si possa precipitare in un buco nero nelle profondità oscure del quale si rischierebbe di perdere il senso stesso, il significato delle scelte dominanti, delle stesse discriminanti che hanno caratterizzato fino ad ora il nostro modo di sentire l’impegno pubblico.In quel buco nero temo che possa sparire, prima di tutto, la sinistra.Questa mia affermazione, come vi sarà chiaro, non nasce da una sorta di nostalgia conservatrice per la vecchia sinistra.Ho più volte affermato che non ho alcuna prevenzione, o pregiudizio ideologico, verso la formazione di un partito democratico capace di fondere, attraverso una effettiva contaminazione ideale e politica, i diversi riformismi della tradizione politica italiana.All’indomani della svolta della Bolognina io stesso proposi la costituente di una nuova formazione politica. Anche il Pds, come ricorderete bene, avrebbe dovuto essere nella nostra visione strategica solo una prima tappa sulla strada della formazione di un nuovo organismo alla cui nascita contribuissero forze esterne provenienti non solo dai tradizionali partiti, ma anche dalla stessa società civile. In sostanza, si trattava di quella che allora chiamammo la sinistra sommersa, che si andava formando attorno ai problemi e alle sfide del nuovo millennio che stava per aprirsi e non già nel chiuso delle vecchie, e a volte logore, nomenclature politiche.Questa ipotesi doveva essere favorita dal formarsi di una grande coalizione, una sorte di Carovana, come la chiamai in modo forse troppo colorito, nella quale ogni convoglio mantenesse la propria identità di partenza, ma che fosse ispirata dalla identica tensione ideale e morale verso la nuova frontiera di una politica profondamente rinnovata.Il «Grande Ulivo» del 1996 incominciò ad incarnare questa idea. In quella occasione uomini e donne che il muro ideologico della guerra fredda aveva divisi si ritrovarono dalla stessa parte, dando vita ad un’ effettiva esperienza unitaria di base. Esattamente come nella mia visione della Carovana quella esperienza avrebbe dovuto, senza forzature burocratiche dall’alto, preparare il terreno di coltura di una fecondazione unitaria da realizzarsi nel vivo di una comune esperienza di vita politica e sociale.Purtroppo quell’idea, come sapete, è stata sacrificata, con la crisi del primo governo Prodi, frutto di un vero e proprio complotto politico, sull’altare della vecchia politica. Invece di fornire alla coalizione una propria autonoma identità, di un originale soggetto politico di coalizione, rispetto al quale i partiti avrebbero dovuto fare un passo in dietro, i partiti stessi si ripresentarono con prepotenza sul proscenio della politica italiana portando con sé tutto il retaggio di vecchi rancori e antiche contrapposizioni. Con l’aggravante che al posto dei grandi partiti di massa usciti dalla Resistenza apparve la loro caricatura di meri comitati elettorali, dando così vita ad una sorta di partitismo senza partiti.Non c’era dubbio pertanto che occorresse riprendere, in qualche modo, la via della unificazione a sinistra e della contaminazione tra i diversi riformismi di cui abbiamo tante volte parlato.Ma come farlo? Questa è la domanda che vi pongo; perché dovete sapere che non è il fine, sul quale comunque ci sarebbe molto da discutere, che mi spaventa, ma è il modo che ancor mi offende.La mia risposta a quella domanda è: in un modo totalmente opposto da quello tentato con l’attuale proposta di partito democratico. A mio avviso occorreva prendere le mosse da una effettiva costituente delle idee che avviasse la stagione di un confronto culturale e programmatico aperto, in partenza, all’insieme del popolo di centrosinistra. Purtroppo la scelta non è stata questa; la società civile, nelle sue differenti espressioni, non è stata chiamata a raccolta, e tutta l’operazione politica si è ridotta all’incontro di due apparati molto ristretti, quello dei Ds e quello della Margherita. Una strada, quella che è stata imboccata, che si allontana sia dall’ispirazione ulivista del primo Prodi e sia dalla visione che del partito democratico era stata avanzata dallo stesso Veltroni.Infatti il partito che tu Walter avevi sognato, lo so per certo perché ne abbiamo parlato tante volte, anche di recente, avrebbe dovuto essere il naturale coronamento della stagione ulivista per nascere dal crogiuolo del tutto originale di forze politiche, movimenti, associazioni e personalità della cultura e della società civile. Questa, come si sa, era anche la mia ipotesi di lavoro, anche se probabilmente, vissuta su alcuni punti programmatici, con una torsione più di «sinistra» della tua.Ma poco importa, perché in una grande forza politica democratica, riformatrice e liberal non dovrebbe certamente vigere lo spirito del centralismo democratico proprio dei vecchi partiti comunisti, che, con la svolta, mi onoro di aver contribuito a sradicare definitivamente.E con te, caro Piero, ho lavorato, gomito a gomito, per quella grande impresa che è stata l’ingresso degli ex-comunisti italiani nell’Internazionale socialista e la co-fondazione, da parte mia, del Partito del socialismo europeo. Ebbene ora mi chiedo e vi chiedo: queste due ipotesi di lavoro dovevano necessariamente separarsi tra di loro? Ma soprattutto che cosa è rimasto di tutto quello che abbiamo pensato, sognato nell’attuale tentativo della formazione di un partito democratico che si basa sull’incontro, molto spesso insincero, tra ex-comunisti e ex-democristiani, e su un’ipotesi programmatica, che per quanto venga sapientemente coperta da alcuni espedienti verbali, è sostanzialmente moderata? Per questo vi dico con estrema franchezza che se la formazione del nuovo partito democratico dovesse procedere su questi binari, già minati in partenza, si lascerebbe nella politica italiana un enorme spazio vuoto: quello di una sinistra moderna, capace di reinventare il senso di una attuale ispirazione socialista e democratica.Ma prima che le nostre strade si separino definitivamente mi chiedo, se si vuole per davvero muovere verso la formazione di un nuovo partito democratico collegato alla grande famiglia della sinistra europea, se non sia il caso di fermarsi a pensare per riprendere il cammino su basi diverse e più solide. Su basi che si riallaccino per davvero alla nostra comune esperienza precedente.Vi chiedo una pausa di riflessione al fine di rendere più chiaro il percorso e più ampio il consenso verso la costruzione di una formazione politica capace di raccogliere l’eredità positiva del «Grande Ulivo» e della «Carovana» verso la nuova frontiera della politica italiana.Se avrete il coraggio e insieme l’umiltà di fare questo, siatene certi, potrò, assieme a molti altri, riprendere con voi lo stesso cammino. In caso contrario, sarà compito ideale e morale di molti di noi di impegnarsi perché la sinistra in quanto tale non sparisca dal panorama politico italiano. Con affetto e speranza

Achille Occhetto.

 

Fonte: Ilcantiere.org

 

 

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